Ho capito che una delle cose più importanti nella vita è imparare a voltare pagina, gli psicologi direbbero forse a “lasciare andare”, certo, quando si parla di prematurità non è facile andare oltre.
In fondo, lo scorrere dei nostri giorni è fatto di fasi e quando si hanno dei bambini poi le fasi sono scandite dal passare degli anni scolastici, dagli appuntamenti con le feste di Natale o con i saggi.
Spesso non è semplice voltare pagina, guardare avanti senza voltarsi troppo indietro. Non è facile quando si lasciano cose belle, che abbiamo amato, per passare ad altre, che ancora non conosciamo, ma anche quando ci si lasciano alle spalle esperienze difficili come la prematurità che ci hanno coinvolto profondamente.
Venerdì ho portato come sempre il mio piccolo dal pneumologo. I suoi piccoli polmoni da prematuro sono sempre stati un po’ indietro e sono sempre uscita da quella visita con un filo di ansia. E invece. E invece il dottore ha detto, inaspettatamente, che lui, il mio bambino, non vuole vederlo più, perché non ce ne è più bisogno. Perché sta bene. Perché magari non proprio come quelli dei bambini nati a termine, ma i suoi polmoni ormai non hanno più bisogno di attenzioni particolari.
E niente. Mi è venuto un groppo in gola. Per un attimo avrei voluto dirgli “ma è sicuro dottore? Ci tenga ancora un po’ con lei, perché io senza questa ansia della visita pneumologica non so stare. Perché tutto questo mondo è parte di me, di noi, della mia vita e fuori mi sento più fragile”.
Il dottore mi ha stretto la mano: “buona fortuna”, ha detto, “potete affrontare questa nuova fase della vostra vita in tutta serenità”.
Caspita, allora è proprio vero. E’ serio. E’ una nuova fase della nostra vita. Ma sarà vero?
Non ho saputo dire altro che un rapido “grazie di tutto”, perché non è che potessi saltargli al collo o mettermi a piangere.
Sono uscita con addosso l’emozione delle cose che passano, e non importa se sono belle o brutte, ciò che conta è quello che ci hanno lasciato dentro, è la parte di noi che ci hanno aiutato a conoscere, è il ‘senso’ che hanno saputo regalarci.
Ho preso il mio bambino per mano e sono corsa fuori. Lui ha iniziato a correre con il monopattino davanti a me. Poi si è fermato pensieroso: “ma perché il dottore ha detto che non mi vuole più vedere?” .
“Perché stai bene, amore mio. E adesso corriamo a scuola”.
Tanto tempo fa mi ero chiesta, pensando alla Tin: “per quanto tempo bisogna stare dentro alle cose per uscirne davvero?”.
Ecco, io adesso sento che sto voltando pagina davvero e che quello che mi sembrava impossibile fino a non troppo tempo fa ora sta diventando vero: l’avventura della prematurità e della Terapia Intensiva Neonatale che raccontato nel libro Il nido di vetro si sta chiudendo davvero, e adesso mi aspettano altri scenari, altre strade, altra vita.
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