Con Alessandra Spada, autrice di Il codice delle ragazze, il libro uscito oggi per Solferino, ci siamo incontrate grazie ai libri e la nostra amicizia si alimenta anche di passione per la scrittura. Se non avessimo amato i libri l’una dell’altra non ci saremmo forse mai trovate.
Adesso Alessandra, che non si ferma mai, si è cimentata con qualcosa di diverso rispetto al passato: ha deciso di non rivolgersi più (solo) ai genitori, ma di parlare ai ragazzi. E lo fa con un romanzo delicato, divertente e ricco di spunti, che ruota intorno a diversi temi che riguardano da vicino i nostri figli.
Le protagoniste sono quattro ragazze di 13 anni che vivono un’estate inisieme al CRAC, il Centro di Ricerche Avanzate in Coding creativo, un luogo bellissimo, all’avanguardia e anche un po’ magico, un campus dove si impara il coding, ma dove le amiche troveranno anche molto altro. Conosceranno meglio sè stesse e le proprie potenzialità, in un’estate divenuta presto un’occasione per crescere e per ritrovarsi, al momento della partenza, dopo qualche settimana, con qualcosa in più: “queste settimane con voi sono state le più belle della mia vita. E io vorrei che non finissero mai”, dice Chiara quando la vacanza sta per finire.
Sento Alessandra al telefono proprio il giorno dell’uscita in libreria de Il codice delle ragazze. Intercetto la sua felicità nel fruscio della chiamata WhatsApp e del suo telefono un po’ scarico.
Ho trovato tanto di te, dei tuoi interessi e delle tue passioni nel tuo libro: l’attenzione per il mondo femminile, la descrizione del contesto multietnico e multiculturale in cui si muovono i nostri ragazzi, e anche l’architettura, nelle descrizioni meravigliose del luogo fiabesco in cui Chiara, Carlotta, Lin e Nina si trovano a trascorrere l’estate. Ma il coding? Cosa ne sapevi? Hai dovuto studiare un po’?
Un po’ sì, ho studiato. Si trova moltissimo su questo tema ovviamente, ma qualcosa già ne sapevo. L’approccio alla tecnologia faceva già parte del mio mestiere di architetto. E ormai la tecnologia è imprescindibile, non solo per i ragazzi, ma anche per noi.
Sul rapporto tra tecnologia e ragazzi ho voluto dare anche qualche consiglio. I tre principi del CRAC possono sembrare banali, ma è importante tenerli presenti quando ci si confronta con questo mondo: 1. Pensare con la propria testa 2. Seguire l’intuizione 3. Usare la tecnologia, non lasciarsi usare.
Ho voluto presentare la tecnologia come qualcosa che ha anche un lato creativo, capace di collegare, di dare una visione di insieme. Pensiero computazionale significa anche logica, capacità organizzativa. È appunto un modo di pensare e di ragionare, che non implica per forza lo stare sempre davanti a uno schermo, ma anzi un continuo passaggio dallo schermo al mondo reale.
Alla fine del libro c’è la tua intervista a Valeria Cagnina, una ragazza che ha costruito il suo primo robot ad appena 11 anni. La conoscevi già o l’hai incontrata svolgendo le ricerche per il tuo libro?
In realtà avevo letto qualche tempo prima una lettera di sua mamma al giornale locale mentre ero in montagna in Piemonte. Sua mamma raccontava che Valeria era stata costretta a fare la maturità da privatista a causa delle molte assenze da scuola. Peccato che quelle assenze le facesse per andare in posti tipo, che so, il MIT di Boston. Da lí mi sono incuriosita, ho trovato il blog della sua mamma e poi ho incontrato Valeria. È una ragazza di grande grinta e il suo messaggio è molto bello: “Siate coraggiose e determinate, insistete, non vi scoraggiate davanti a una sconfitta. Se una cosa vi interessa fate ricerche, non abbiate vergogna di scrivere alle persone che se ne occupano, siate curiose. Niente è impossibile”.
Dopo l’intervista alla giovanissima Valeria ho voluto farmi raccontare del loro lavoro anche da due donne più grandi, Federica Pascotto e Giovanna Hirsch, fondatrici di Art Stories, una piccola impresa che sviluppa app educative che raccontano ai bambini le bellezze dell’arte, della storia e dell’architettura. Mi piace mettere in luce l’aspetto creativo della tecnologia, che può anche essere un accelleratore potente di processi diversi e dare una mano, per esempio, al miglioramento della considerazione del ruolo femminile nella nostra società.
Ne Il codice delle ragazze c’è un personaggio che più di altri ti ricorda l’Alessandra di un po’ di anni fa?
In realtà ho messo un pizzico di me in ciascuna delle protagoniste, e poi in tutte ci sono le tante ragazze che ho incontrato nella mia vita: quelle che sto vedendo crescere adesso, ma anche le mie amiche di ragazzina. Amo molto il personaggio di Nina, una ragazza bellissima e di colore, italiana, ma dal forte accento romanesco: insomma, un mix che può sembrare strano, ma per il quale ho invece preso spunto da realtà che conosco direttamente e che sono sempre più comuni.
Visto che Il codice delle ragazze ti ha dato modo di riflettere sulle ragazzine di oggi, secondo te quanto sono diverse dalle ragazze che siamo state noi?
Sai, quando incontri un’adolescente oggi ti sembra quasi respingente, la percepisci come lontanissima da noi, tutto ci pare anticipato: già alle medie sono truccate e più adulte di quanto fossimo noi. Ma, oltre alla superficie, secondo me molto pilotata dai media e dal mondo adulto, si trovano gli stessi dubbi, le stesse insicurezze e le stesse emozioni che appartenevano a noi. Io infatti ho voluto mantenere l’innocenza dei miei personaggi. Anche quando ho accennato all’amore, ho voluto descrivere quel momento tenero, in cui tutto è possibile, ma ancora non accade nulla. Ho voluto regalare a chi mi leggerà un modello diverso, lontano da certe storture imposte dal mondo adulto, che vogliono le ragazzine provocanti e ammiccanti. Penso che non per forza tutto debba essere sempre estremo, forte, esagerato.
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