E le donne americane cosa dicono? Cosa dicono circa la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che abolisce il principio di libertà fondante sul non diventare madre. Perché oggi l’aborto, negli USA, diventa un tema amministrativo, una bega demandabile ai governi dei singoli stati, una concessione destinata ad un numero esiguo di donne, una libertà relativa, insomma.
L’aborto in Italia, la Legge 194
In Italia, a ben guardare, un problema con l’aborto ce lo abbiamo già. La legge 194 compie 44 anni: il 60% degli ospedali italiani con reparto di ostetricia contemplano un servizio per l’interruzione volontaria di gravidanza, il restante 40% no. L’accesso è a macchia di leopardo, dunque.
Scendendo nei dettagli, nascere in una regione come il Molise rende l’aborto dispendioso in termini di ricerca, energia, possibilità, considerato che il 93% di ginecologi/ginecologhe sono obiettori di coscienza (seguiti da quelli del Trentino Alto Adige, che sono oltre il 92%) – dati Ministero della Salute, aprile 2016.
Il farmaco abortivo RU486 (la pillola abortiva al posto dell’intervento chirurgico) ha alleggerito le cose? La sua somministrazione ha visto una certa difficoltà nel mantenere il riserbo della decisione: 3, i giorni di ricovero previsti. Dal 2020, tuttavia, l’interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine avviene in regime di day hospital ed è stata posticipata fino alla nona settimana di gravidanza (contro le sette settimane previste nel passato).
L’aborto divide gli animi da sempre. La giurisprudenza costituzionale e il parere comune lo percepiscono come una necessità. La legge 194/78 lo qualifica come un diritto. Il Comitato Nazionale di Bioetica lo affossa in nome del diritto alla vita, del rispetto dell’identità umana, da riconoscere e tutelare a partire dal momento del concepimento.
Chi non teme il dubbio quando a farne le spese è una vita umana? Chi non si chiede mai il perché gli esseri umani possano avere pareri tanto discordanti? Quando una goccia di vita, a volte “scappata dal nulla”, prende corpo, decidere se dare la vita o negarla può farsi palude di solitudine increspata di contraddizioni, dove mulinelli di lacerazione interiore inghiottono. Dallo sbalordimento al vuoto, sotto i piedi il terrore, un pozzo che inghiotte. E in esso ci si perde.
Basta volere un figlio per metterlo al mondo? Perché una donna può volerlo ma esserne anche impaurita, persa in un dilemma struggente che oscilla tra il rifiuto e l’amore. Di cosa si tratta? È egoismo, paura di non essere all’altezza, desiderio di serbare intatta la propria vita, rifiuto di un dovere morale, bisogno di libertà?
Far nascere un figlio è davvero meglio che non farlo nascere? È impossibile non commuoversi di fronte ad una donna, pensiamola sola, magari, dilaniata dalla decisione di dare o togliere la vita. Un figlio, fonte di un rapporto indissolubile, può farsi gioia più grande di quanto si possa contenere, può farsi angoscia tra le più terribili da contenere, può farsi rabbia, emblema di un padre che ha già deciso che non lo vuole, figlio da proteggere da quel disamore.
Quindi qual è la cosa giusta? La cultura favorevole alla vita si stringe intorno alla mamma in potenza e chiede la vita: ogni nuova vita è un bene per tutti e ogni mamma che riesce a dire sì, nonostante tutto, celebra la vita. La cultura favorevole alla libertà della scelta guarda con rispetto al coraggio delle donne che il loro bambino lo hanno rifiutato. Io sono una donna di dubbi, non di certezze.
Ma la certezza è che non importa di cosa io, tu, una persona sia convinta, non conta il proprio credo. Dare vita ad un altro essere umano è il miracolo più grande della vita. Ma il mondo deve entrarci con le sue leggi e con le sue ipocrisie e con le sue prepotenze.
L’aborto negli USA
Da oggi, le donne americane avranno meno diritti delle loro nonne, che appena ventenni avevano visto riconosciuto a livello federale il diritto all’aborto. Da domani, la prima causa di morte tra le afroamericane tornerà ad essere la setticemia, come negli anni sessanta, conseguenza di un aborto clandestino?
Ai cancelli di partenza la vecchia legge di mercato: le ricche viaggeranno centinaia di chilometri per recarsi negli stati dove l’interruzione di gravidanza rimarrà legale, le povere no, le minorenni neanche; le ricche rimbalzeranno sulle lunghe liste d’attesa, le povere no, le minorenni neanche; le ricche abortiranno, le povere annegheranno nella decorrenza dei termini previsti dalla legge, le minorenni pure. Entrambe, povere e minorenni, balleranno la danza macabra dell’aborto clandestino.
Entrambe ingoieranno pillole antiabortive la qualunque del mercato nero. L’aborto negli USA, diventa un privilegio, a cui si può accedere se si abita nella parte giusta del Paese.
Ogni persona che abbia a che fare con le scelte di altri esseri umani sa che il giudizio uccide, ogni persona che abbia a che fare con il cammino interiore di altri esseri umani sa che la compassione lenisce.
L’aborto è la madre delle battaglie sulle libertà personali. Abolire la possibilità scelta ha il sapore della morale – ma è troppo facile fare la morale a una donna che si fa già la morale da sola. Odora di esercizio del senso di colpa – una colpa che è possibile una donna senta già, insieme alla malinconia lancinante di ciò che poteva essere.
La vita altrui è sempre più complicata di quanto si possa immaginare. Accade di non sentirsela proprio di diventare madre. Perché rimane una tra le scelte più importanti della vita di una donna, quella di dare la vita. O rifiutarsi. Scelta di cui quella donna sentirà, forse, l’eco negli anni. Perché è più facile togliere un feto da un utero che togliere l’idea di un figlio nella mente di una madre.
“Il dolore non è il sale della vita. Il sale della vita è la felicità, e la felicità esiste: consiste nel darle la caccia”, scrive la Fallaci in “Lettera ad un bambino mai nato”.
Poter scegliere cosa è bene per sé.
La legge 194 è una conquista di donne coraggiose che hanno lottato, indietro non si torna.
articolo a cura di:
Dott.ssa Luisa Ghianda psicologa e counsellor
articolo a cura della Dr.ssa Luisa Ghianda
psicologa e counsellor, partner convenzionata
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