Il gioco del rocchetto è strutturalmente simile all’odierno yo-yo e il funzionamento è pressoché identico: con un movimento della mano si avvicina e si allontana un rocchetto di legno avvolto da un filo. Può essere un passatempo amato da alcuni bambini, tra cui il nipote dello psicoanalista Sigmund Freud. È proprio grazie anche all’osservazione del nipotino Ernst, di un anno e mezzo, che il padre della psicoanalisi ha avuto la possibilità di elaborare alcune sue importanti teorie.
Ernst era solito lanciare i giochi lontano da sé, emettendo un suono “o-o-o”, che ricorda la parola “fort”, tradotto dal tedesco come “via”. Con il gioco del rocchetto Ernst compiva due azioni: allontanava da sé l’oggetto e poi lo avvicinava a proprio piacimento pronunciando “da”, cioè “qui”.
Il gioco del rocchetto e la mamma che si assenta
L’azione ripetuta di allontanamento e avvicinamento sarebbe quindi lo specchio di quello che il bambino vede fare alla mamma, cioè andare via e poi tornare da lui, qui. La differenza è che, quando la mamma si allontana Ernst ha un ruolo passivo, contrariamente all’attività di gioco nel quale assume un ruolo attivo. Una prima interpretazione del gioco è infatti proprio la possibilità di elaborare un’esperienza dolorosa scambiando le parti: in questo, è Ernst che abbandona e fa ritornare.
Si può dire che tutti i bambini sono portati a vivere l’esperienza dell’assenza della propria madre e questo è un passo importante per la crescita, seppur talvolta non semplice. La giusta presenza e assenza permette al bambino di favorire non solo il legame con la propria mamma, ma anche di sostenere la scoperta e l’esplorazione del mondo che lo circonda. Non si parla dunque di un abbandono, bensì di un’assenza dettata dal fatto che una mamma è anche una donna con i suoi bisogni e impegni.
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Il gioco simbolico
Al giorno d’oggi i giochi sono cambiati, ma non l’importante funzione che rivestono nello sviluppo. Data l’unicità di ognuno, ciascuno troverà le attività che più gli risulteranno spontanee; alcune possono essere: la creazione di storie tramite l’uso di pupazzi o bambole, l’uso del set da cucina per ricreare attività quotidiane, l’utilizzo del disegno, del pongo, e tanti altri strumenti.
In generale, il gioco è fondamentale per lo sviluppo del bambino, ma in particolare, è quello simbolico che indica un passo importante, in quanto il piccolo comincia ad accedere alla dimensione rappresentativa. Il gioco simbolico compare circa dopo i 2/3 anni e lo si può riconoscere dall’uso degli oggetti come se fossero reali. Ad esempio, inizialmente il bambino può far finta di bere del tè da una “tazzina giocattolo”; in seguito, non servirà più un oggetto, ma basterà immaginare che tra le mani ci sia una tazzina per poter giocare. A mano a mano che cresce, il bambino diventerà sempre più capace di usare l’immaginazione e quindi sempre più esperto nel trovare strategie che gli consentano di sentirsi attore del proprio spazio.
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