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Bambino ricoverato: cosa si aspetta la mamma

Non è stato troppo difficile per me raccogliere le idee quando una carissima amica mi ha chiesto di portare una testimonianza alla facoltà di scienze infermieristiche mettendo a fuoco soprattutto quello che la mamma si aspetta dagli infermieri quando ha un bambino ricoverato per lungo tempo in condizioni critiche.

Nei 5 mesi passati da mamma con il mio bambino ricoverato perchè nato prematuro, che ho raccontato nel libro Il nido di vetro, ho ricevuto un’assistenza di primo ordine da tutti gli infermieri, per lo più giovanissimi, che lavoravano lì…

Chiamami mamma. Sembra banale, ma anche il modo in cui si viene chiamate in quei momenti conta. Del “tu” o del “lei”? mi è stato chiesto. Io direi forse del lei, almeno all’inizio, ma, in ogni caso, “mamma”. Perché in una Terapia Intensiva Neonatale il ruolo di “mamma” diventa davvero totalizzante, e, nello stesso tempo, ci si sente un po’ mamme a metà, mamme sbagliate, perché non si è state capaci di proteggere il proprio bambino o, nel caso della prematurità, di portare a termine il più importante dei compiti.

Ho bisogno di un tramite tra il mondo “fuori”e quel mondo nuovo, che sembra tutto fuorché accogliente per un neonato. È un mondo freddo, di cui si può scoprire l’umanità in prima battuta proprio grazie al personale sanitario. Spiegami le regole e fammele rispettare se non lo faccio!

Sono anch’io una paziente. Quando un bambino si trova in ospedale, anche la sua mamma è un po’ una paziente, perché quel bambino è una parte di lei. E chi lavora nell’assistenza pediatrica non dovrebbe mai dimenticarlo.

Vorrei conoscere e capire: spiegami. Anche la più profana delle mamme vuole sapere quello che sta succedendo al proprio bambino, cosa monitorano le macchine, a cosa servono i diversi tubicini. Spiegare a una mamma non è una perdita di tempo, ma significa avere un alleato in più nell’assistenza al bambino.

Vorrei un ruolo il più possibile attivo nell’assistenza per sentirmi utile. La mamma ha un ruolo importante e decisivo nell’assistenza del bambino ricoverato e ha bisogno di sentirsi utile, per quanto possibile. Credo che l’assistenza a un minore dovrebbe essere un lavoro di squadra: medici, infermieri, famiglia del bambino. Certo, ognuno con il proprio ruolo.

Nessuno sa comunicare con il mio bambino meglio di me: ascoltami e fidati delle mie impressioni (ma se esagero riportami all’ordine!).

Il mio bambino è unico: chiamalo per nome, raccontami cosa fa quando io non ci sono, fammi sentire che hai imparato a conoscerlo e che per te non è uno dei tanti.

Ricordati che ho bisogno di fidarmi di te: ti affido la cosa più importante al mondo. Non dirmi bugie, sii discreto, non abbassare mai la guardia, anche se certe volte, lo so, sei stanco e non c’è nessuno più rompiscatole della mamma di un piccolo ricoverato!

Queste sono le cose che ho detto ai ragazzi, ripensando ai tanti momenti in cui la presenza di infermieri eccezionali vicino a me è stata l’unica cosa a cui aggrapparmi avendo il mio bambino ricoverato.
Me ne sono andata dopo aver risposto a molte domande e mentre camminavo dallo Ieo verso il tram 24 che mi avrebbe riportata a casa, mi dicevo che da un lato me la sarei risparmiata volentieri l’avventura in Terapia Intensiva Neonatale, ma che è stata anche un’esperienza di un’intensità unica. Me la porto sempre nel cuore e bastano poche parole e qualche pensiero per ritrovarmela addosso più viva che mai, come se fosse passato un solo giorno.

La sera ripensavo ai ragazzi che hanno scelto un lavoro così difficile e ho augurato loro con tutto il cuore di trovare il punto di equilibrio perfetto tra professionalità ed empatia, così da essere sempre nel cuore delle famiglie che li incontreranno con il loro bambino ricoverato, come lo sono nel mio i ragazzi e le ragazze che incontrai allora in quel reparto.


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