“L’educazione è una tecnica di orientamento dell’anima. Indica il modo più facile di muoversi nella conoscenza” – Platone
Nell’antichità, con il termine talento si indicava un’unità di misura (dal greco tàlanton e dal latino talentum) che con il tempo diventò anche monetaria: il talento esprimeva contemporaneamente un peso, una grandezza e un valore, anche figurato (come nella Parabola del Vangelo, in cui i Talenti sono simbolicamente i doni che Dio dà agli uomini). In ogni caso il talento era qualcosa di altissimo valore, che, come DONO, andava coltivato ed arricchito. E dunque, andava in primis scoperto.
Secondo Platone, lo scopo della vita umana era proprio scoprire e realizzare il proprio Talento, definito dàimon.
Il grande filosofo ateniese afferma che ogni anima nasce con un chiaro progetto di vita, che viene dimenticato al momento della nascita. La nostra vita prende dunque senso nel viaggio di scoperta e di realizzazione del nostro destino, e il dàimon è la nostra guida: una sorta di creatura divina preposta ad accompagnarci nella realizzazione piena e nel compimento di ciò che la nostra anima sceglie prima di venire al mondo. Anche se in apparenza sembra tutto cancellato dalla nostra memoria e dalla nostra coscienza, la vocazione resta perché Noi siamo ciò che abbiamo scelto di essere.
Ogni anima ha il suo dàimon, che non è uguale a nessun altro: siamo essere unici e STRA-ORDINARI. Un po’ come dice James Hillmann, nel suo libro Il codice dell’Anima, con la “teoria della ghianda”: ognuno di noi è un seme particolare e può dar vita ad un solo preciso albero o pianta, come da una ghianda che non può che generare una quercia.
Anche Jung ci parla di dàimon come di una sorta di divinità interiore che risiede nell’inconscio e che ci spinge a gettarci nella vita senza freni, mettendo in gioco abilità e talenti.
È solo uscendo dalla nostra “zona di confort”, vincendo il conflitto tra la vita ordinaria e le nostre più profonde esigenze interiori, che possiamo arrivare a scoprire potenzialità inesplorate ed esprimere la nostra essenza, il nostro GENIO.
L’accezione di quest’ultimo termine è quella prevalente anche oggi: un Talento è qualcuno che è particolarmente bravo a fare qualcosa o che ha un’attitudine a fare qualcosa con particolare facilità. Si legge nel Vocabolario della lingua Italiana Treccani: «ingegno, predisposizione, capacità e doti intellettuali rilevanti, specialmente in quanto naturali e intese a particolari attività».
Cos’è il talento ?
Potremmo anche dire che il vero talento è costituito da abilità, da disposizioni e da motivazioni, ma anche da creatività. I più recenti studi neurofisiologici hanno infatti confermato che esisterebbe una specifica area cerebrale nella quale avrebbe sede il talento: è il cosiddetto cervello antico, cioè l’area limbica, il luogo dove si accende la scintilla della CREATIVITÀ.
Esiste una differenza tra abilità e competenza?
Aristotele direbbe di si. Le ABILITÀ sono capacità di eseguire compiti od azioni, spesso legate ad attività specifiche, sviluppate attraverso la pratica. Il filosofo lega il concetto di abilità all’idea di virtù, considerandole come abitudini di comportamento virtuoso sviluppate attraverso la pratica costante, disposizioni acquisite che guidano il comportamento.
Le competenze vanno oltre le semplici abilità: le incorporano per trovare soluzioni efficaci in vari contesti. Coinvolgono la comprensione di sfide ed opportunità: sono facoltà innate, dice Aristotele, che forniscono il potenziale per lo sviluppo delle abitudini, che vengono consolidate attraverso l’esercizio costante.
Talento come dote o Talento come dono da coltivare, dunque?
Se da un lato non esiste rilevanza specifica per dimostrare l’esistenza di geni portatori di talenti specifici, tali da giustificare la loro presenza innata (si pensi ad esempio a Mozart, il cui genio musicale è stato rivisto nell’intensivo e faticoso esercizio musicale quotidiano a cui veniva sottoposto dal padre per raggiungere determinati obiettivi), dall’altro si può certamente pensare di considerare i talenti sia come un patrimonio individuale conferito dalla natura, sia come il risultato di un percorso di sviluppo, una predisposizione che deve essere attivamente ed opportunamente supportata.
A sostegno di questa tesi, Daniel Coyle ha condotto uno studio, basato su ricerche neurologiche, con il quale ha individuato le basi fisiologiche del talento nella guaina mielinica. La mielina è un polimero proteico – lipidico che il cervello sviluppa per isolare i percorsi neurali in modo da evitare le dispersioni. La ripetizione di un esercizio o di un compito stimola la produzione di mielina sullo stesso percorso neurale, che diventa così più efficiente.
Ogni soggetto possiede, quindi, uno o più talenti che possono essere sviluppati e migliorati.
La tesi centrale è che l’ESERCIZIO, il fare, è molto più determinante dei geni nell’acquisizione di abilità complesse. Ciò che distingue un buon giocatore da un giocatore mediocre è la pratica deliberata, la pratica cosciente in cui l’esercizio continuo è accompagnato da uno sforzo concentrato. È pur vero che, se ho un talento, usarlo per me è meno faticoso che usare altre capacità. Questo perché, essendo una risorsa di cui ognuno può disporre quale propensione “naturale”, è sostenibile per chi lo esercita più di altre risorse.
È la scelta tra i vari talenti che fa la differenza: si sceglie di esprimere una determinata inclinazione al posto di altre e lo si traduce in un “saper fare” che guida all’Eccellenza. Joel Guillon, autore contemporaneo, parla di “Area di Eccellenza”: quell’insieme di abilità speciali che caratterizzano ogni persona che, a parità di condizioni, permettono di riuscire molto facilmente e bene in qualcosa. Anche in questo caso, la performance eccellente viene raggiunta tramite l’apprendimento continuo e l’impegno profuso nel raggiungere risultati sempre più elevati.
Donatella Lorato, Founder Excellentia
www.excellentia.academy
Leggi anche